E se i cani dicessero no? Dove comincia e dove finisce la costruttiva e reale collaborazione del cane negli IAA?
Ci sta capitando molte volte ultimamente di assistere in maniera sempre più esponenziale a immagini video dove appaiono cani del tutto ”estranei” ai contesti dove operano; assenti e lontani e distanti dalla relazione, impegnati in un una ricerca continua di cibo, perennemente in attesa di un rinforzo che soddisfi questo bisogno.
Negli ultimi mesi sta infatti aumentando un’ incontrollabile esposizione di cani all’interno di progetti nell’area sanitaria, soprattutto pediatrica, che è quella su cui abbiamo maggiore pratica attenzione sensibile, e un esperienza quasi ventennale, pratiche e progetti che purtroppo niente hanno a che fare con una relazione serena, fluida semplice, autenticamente empatica, cuore e finalità degli IAA.
Lo abbiamo più volte riflettuto scritto e comunicato, che la sola prestazione dell’animale nel setting, limita l’attenzione e l’ interesse dell’animale verso l’altro, un “altro” che in quel momento è ricco di una fragilità tipicamente espressa nella malattia, in cui si mischiano paura e confusione emotiva, ma dove vi è necessità di sguardi confermativi e attenti anche da parte dell’animale.
Ma capita sempre più spesso di vedere impiegato il nostro collaboratore come concentrato sul cibo, sulla pallina con esercizi senza finalità relazionale o di mediazione sull’ambiente; oppure attività di cura fredde, meccaniche, ripetitive in posizioni scomode a volte, confondendo quello che è che il “tenere la relazione con l’animale” da quello è “l’aspetto dell’avvio della relazione” a terzi.
L’animale sociale per eccellenza rischia di perdere la sua specificità, proprio in quell’ambito dove questa dovrebbe essere esaltata cioè negli IAA, tralasciando quella principale quella di essere un ponte comunicativo.
Ma il problema ancora una volta è il “ pensiero sulla mediazione animale” al di là delle tipologie di riferimento e classificazioni riconosciute da cui non possiamo prescindere e che sono fondamentali per guidare, pensieri progetti obiettivi e finalità.
Ma in cosa gli interventi assistiti si stanno trasformando? animazione, prestazione, facile riconoscimento empatico, o passatempo?
Oppure dovrebbero essere occasione di cura, leve motivazionali, specchio del sé?
Che rapporto c’è tra il nostro desiderio di portare una relazione che ha in se elementi di fatica, errore, fraintendimenti messa in discussione o di esibire acrobazie, performance e perfettibilità?
Con il tecnicismo proiettato sull’animale la materia non crescerà molto di qualità, si fotocopierà su standard qualitativi bassi e esenti da riflessioni, rischiando di perdere la specificità di ciò che conduce l’animale e cioè l’aspetto emotivo e non verbale ponendo al centro le emozioni.
Ancora una volta ci viene da riflettere che se i cani potessero dire no, forse cominceremo a rivedere la loro individualità, il desiderio di collaborazione vero, analizzando una complessità emotiva che non è affatto semplice, e per certi versi davvero estranea al mondo dei quattro zampe.
Una riflessione etica su ciò che sta accadendo è oramai divenuta necessaria, anche lo sappiamo per certo, su di un piano intenazionale.
Tutto questo per creare una buona alleanza e non tradire in un patto di fiducia antico con chi, i nostri animali, mai ci direbbero di no!